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Guardiamo al passato, anche se...

di Moisés Naím

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10 giugno 2009

Cominciamo dalle buone notizie: il mese scorso 345mila persone sono state licenziate negli Stati Uniti, portando il tasso di disoccupazione in questo Paese al livello più alto da un quarto di secolo a questa parte. L'altra buona notizia è che a marzo i prezzi delle materie prime sono saliti del 20%, un incremento mensile senza precedenti. Sono rincarati petrolio, cotone, nichel e molti altri prodotti. Come è possibile che queste siano buone notizie? Perché il numero di posti di lavoro persi a maggio è il dato più basso degli ultimi nove mesi e sta diminuendo rapidamente. A sua volta, l'aumento dei prezzi delle materie prime segnala un aumento della domanda e questo indica che il periodo di contrazione economica globale è finito e sta cominciando la ripresa, quanto meno negli Stati Uniti.
In generale, gli economisti sono concordi sul fatto che l'economia americana ricomincerà a crescere verso la fine dell'anno, anche se molto lentamente. La creazione di posti di lavoro arriverà più tardi. Anche in Asia sembra che l'uragano economico stia scemando di intensità. Ma in Europa no: purtroppo per le economie del Vecchio Continente la crisi sta colpendo più in profondità, e la ripresa per loro sarà più lunga e dolorosa.

Quanto sono affidabili questi pronostici? Sono le aspettative degli economisti, una categoria che non si è distinta per l'accuratezza dei suoi modelli. Ma se come aruspici non se la cavano troppo bene, a fare le autopsie sono molto più in gamba: agli economisti riesce meglio spiegare quello che è già successo che prevedere quello che succederà. Da questo punto di vista, forse il modo migliore per capire questa crisi è esaminare le crisi precedenti.
Tra il 1960 e il 2007, le 22 economie più importanti del mondo hanno dovuto affrontare 122 recessioni (periodi di sei mesi consecutivi di contrazione dell'attività economica). Secondo Stijn Claessens e M. Ayhan Kose, le recessioni sembrano frequenti, ma in realtà non lo sono. Nell'arco di 47 anni, 22 paesi sono stati in recessione solo per il 10% del tempo.

E meno male che non sono frequenti, perché hanno costi enormi. Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart hanno calcolato l'impatto delle crisi finanziarie più gravi e hanno scoperto che dopo una crisi finanziaria il prezzo delle case cala mediamente del 35% e passano sei anni prima che torni ai livelli di prima della crisi. I prezzi delle azioni quotate in Borsa diminuiscono del 56% e il calo va avanti per 3-4 anni. Le ripercussioni peggiori sono sull'occupazione: mediamente continua a calare per cinque anni dopo la crisi, con un tasso di disoccupazione che arriva in media al 7 per cento. Quando le recessioni sono abbinate a disastri finanziari, l'economia si contrae mediamente di oltre il 9% e la ripresa arriva solo dopo due anni.
Un altro dato importante è l'impatto del debito pubblico: dopo una crisi bancaria aumenta in media dell'86 per cento. La cosa che sorprende è che la causa primaria di questo maggiore indebitamento non è l'uso di risorse pubbliche per salvare le banche, ma il calo del gettito fiscale e il colossale incremento della spesa pubblica per far fronte alla recessione. In Spagna il debito pubblico aumentò del 200% dopo la crisi del 1977, in Cile del 250% nel 1980 e quasi del 300% in Finlandia nel 1991 e in Colombia nel 1998.

In mezzo a tutti questi dati raccapriccianti ne spicca uno molto sorprendente: la recessione fa bene alla salute. Christopher Ruhm ha scoperto che negli Stati Uniti un aumento dell'1% del tasso di disoccupazione in uno stato fa calare di mezzo punto percentuale il tasso di mortalità. Secondo Ruhm, la ragione di questo sta nel fatto che i disoccupati statunitensi mangiano più sano e fanno più esercizio fisico. Si è scoperto anche che i disoccupati hanno meno probabilità di morire in incidenti sui mezzi di trasporto. In ogni caso questi sono dati peculiarmente americani e sicuramente non hanno nulla a che vedere con le esperienze dei disoccupati europei o indiani.
Ed è un punto che vale per tutte queste analisi economiche: non sono facilmente esportabili. Quello che è successo in un paese non necessariamente si ripeterà in un altro, e se una cosa è successa prima non vuol dire che succederà di nuovo.
La crisi attuale ha alcuni punti in comune con crisi passate. Ma ha anche enormi differenze. L'unica cosa che sappiamo con sicurezza è che sia le crisi precedenti che quella attuale hanno provocato enormi sofferenze umane. E che si potevano evitare.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

10 giugno 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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